L’importanza di progettare ecosistemi

Progettare, nei contesti territoriali, quelli che in natura si chiamano “ecosistemi”, cioè ambienti molto ricchi di vita ed elementi che sanno stare in equilibrio. È la definizione che Cristian Campagnaro, professore associato in Design del Dipartimento di Architettura del Politecnico di Torino, ha dato della sua materia come esperto del progetto Top Metro Fa Bene: il design sistemico.

«Per essere più chiari – prosegue – scomponiamo il concetto. Prima di tutto c’è il design, che non è solo progettare oggetti tecnologici o non. Nel campo della ricerca si parla design anche quando si organizzano e riorganizzano le risorse, le persone, i flussi e i rapporti che intercorrono tra tutti questi elementi per ottenere situazioni di benessere, migliori di quelle da cui si era partiti».

Poi c’è il concetto di sistemico: «Questo aggettivo, perfetto per spiegare l’esperienza di Top Metro Fa Bene, si concentra sull’importanza dei servizi, dei processi, delle situazioni organizzative. Elementi su cui si interviene per far stare bene le persone dentro ai luoghi».

Il concetto può sembrare complicato da spiegare in poche parole, ma i risultati di questo approccio sono spesso evidenti, chiari e sotto gli occhi di tutti: «È un metodo di lavoro che tende a valorizzare le risorse che ci sono in un territorio. Capacità, conoscenze inespresse o che le persone e i luoghi mettono a disposizione senza neanche rendersene conto».

Ma quali caratteristiche deve avere un progetto per funzionare e riuscire davvero a generare dei cambiamenti?

«Credo che molto sia riconducibile alla concretezza della proposta in primo luogo – chiarisce Campagnaro -. E dalla doppia dimensione di prospettiva: la capacità cioè di capire qual è obiettivo a tendere che si vuole per il futuro, ma anche quali siano i piccoli passi da fare nel presente per raggiungere quel risultato».

Ci vuole quello che Cristian Campagnaro chiama «uno sguardo strabico»: un occhio che guarda al futuro e uno che resta sul presente, concentrato sul percorso e sulla comprensione di ciò che si sta facendo.

Cosa può mettere a rischio un processo di cambiamento?

I cambiamenti non sono semplici, si sa. Non sono immediati e richiedono a volte dei percorsi tortuosi e poco lineari. Abbiamo quindi chiesto al nostro esperto che cosa può mettere a rischio un progetto di cambiamento e quali sono i segnali dall’arme da riconoscere.

«Sicuramente le resistenze, anche se io ho un’interpretazione positiva di cosa siano. Credo che si tratti spesso semplicemente di risorse che non si è stati in grado di vedere, comprendere e riconoscere fin da subito e che si sentono quindi escluse. Persone o realtà che hanno interesse, entusiasmo, competenze e che si sono sentite non comprese in un primo momento magari, opponendosi al cambiamento. Ma che se coinvolte anche successivamente nel modo giusto si possono trasformare in punti di forza».

D’altra parte, come riconosce anche Campagnaro, non siamo tutti in grado sempre di cogliere, abbracciare e far fronte al cambiamento: «Non è un’attitudine spontanea e naturale, non siamo tutti costantemente in moto, ma raramente mi sono trovato di fronte a resistenze irrisolvibili o a ostacoli insuperabili. Anzi, spesso si sono costruiti progetti intorno a questi problemi con nuovi risultati, partendo dalla comprensione del perché all’inizio eravamo di fronte a dei “no”».

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