«Il fatto che “economia sociale e solidale” sia un concetto formato da due parole non lo sottrae dall’essere un’esperienza economica. Certo la parola sociale fa la differenza perché genera l’equilibrio tra il profitto e i temi della coesione, dell’inclusione, dell’importanza dei legami e della comunità all’interno di contesti che producono e generano valore».
Carlo Andorlini, docente dell’Università di Firenze e esperto di processi di innovazione sociale dentro le organizzazioni del Terzo Settore e enti locali, ci ha spiegato qual è secondo lui la principale differenza tra l’economia tradizionale e il modello sociale e solidale che come Top Metro Fa Bene vogliamo sviluppare sui territori: «È un tipo di economia che non pensa solo al massimo profitto. La cosa interessante è che non riguarda solo gli enti del cosiddetto Terzo Settore, che siamo abituati a considerare attori di questo cambio di paradigma. Ma si può ritrovare anche in soggetti profit».
Per Andorlini anche le aziende sono motori e veicolo di questo approccio economico: «È importante raccontare e valorizzare anche il mondo profit. Quando un’azienda ha un’attenzione particolare per le persone, la comunità in cui si trova, la sostenibilità ambientale e per gli elementi sociali e di inclusione allora è un attore economico diverso da quelli che siamo abituati a conoscere e riconoscere e sta operando nell’economia sociale e solidale».
Idee che stanno alla base del lavoro delle associazioni e dei Comuni che stanno partecipando al percorso di Top Metro Fa Bene e che saranno applicate sui progetti presentati per migliorare il benessere dei territori: «Top Metro Fa Bene – commenta Andorlini – è interessante anche perché vuole intervenire proprio sul creare migliori soggetti economici».
Un obiettivo importante, ma non sempre facile da realizzare: «Per fortuna ci sono elementi che ci aiutano in questo percorso – commenta Carlo Andorlini -. Primo tra tutti un “cambio di postura” che ciascuno di noi deve fare. Dobbiamo capire di essere parte di una comunità perché diamo un contributo fondamentale e non solo perché facciamo una piccola cosa. Il senso è che siamo tutti soggetti utili e importanti. Non cerchiamo qualcuno che ci aiuti a migliorare la società, ma persone che vogliano farlo insieme a noi».
L’importante, precisa l’esperto, è tenere sempre a mente il contesto in cui ci troviamo: «Ogni territorio è diverso per cultura, caratteristiche, relazioni. I progetti di cambiamento non hanno regole, si adattano alla comunità. L’importante è che restino aperti, che sappiamo respirare e non restino chiusi su se stessi altrimenti non riusciranno ad impattare sul territorio».